Un grande problema
CAMBOGIA, VIA DALLA STRADA
Assicurare la sopravvivenza dei bambini, proteggerli dai rischi di abuso e sfruttamento, organizzare corsi per l’inserimento a scuola: sono gli obiettivi del progetto di Cifa per i bimbi poveri di Neak Loeung.
La Cambogia è uno dei paesi più poveri del Sudest asiatico. Il 34% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno e circa la metà dei bambini è malnutrita. La Cambogia è un paese giovane, il 40% della popolazione ha meno di 14 anni e solo il 5% ha più di 65 anni, tuttavia ha un tasso elevato di mortalità infantile a causa dell’Aids. Tanti, troppi, i casi di sfruttamento e di abuso sui minori. L’estrema povertà nelle aree rurali spinge le famiglie a spostarsi verso le città in cerca di migliori opportunità. L’immigrazione urbana acuisce l’emarginazione sociale di queste famiglie e non risolve i problemi economici.
Povertà, emarginazione, mancanza d’istruzione e carenza di servizi sociali: sono questi i fattori principali che inaspriscono il fenomeno dei minori di strada nel paese. Le condizioni sociali rappresentano la ‘situazione perfetta’ per i predatori del sesso che per pochi dollari ‘comprano l’anima’ di migliaia di bambini e ragazzi che vedono nella prostituzione l’unica alternativa possibile alla sopravvivenza con gravissime conseguenze per la salute e per lo sviluppo psicologico e sociale.
Rapiti, sfruttati, rivenduti
Non esistono stime attendibili sull’estensione del fenomeno che è particolarmente visibile nelle zone urbane. Bambini rapiti o comprati dalle mafie alle famiglie spesso inconsapevoli, rivenduti ad altre organizzazioni criminali per farli prostituire in strada o nei bordelli, luoghi utilizzati anche per la produzione di pornografia. È in questo contesto che Cifa ha deciso di realizzare il progetto ‘Anch’io so leggere e scrivere’. Un intervento finalizzato all’istruzione primaria per i minori di strada di Neak Loeung. A 60 km da Phnom Penh, capoluogo della provincia sud-orientale di Prey Veng, Neak Loeung è al confine con il Vietnam, e punto nevralgico del corridoio meridionale della sub-regione del Mekong, che collega la Thailandia al Vietnam, attraverso la Cambogia. Territorio paludoso, tagliato in due dal fiume Mekong è in continuo movimento. Auto e camion in attesa di traghettare sull’altra sponda creano lunghissime file e i bambini cercano di vendere ai passanti frutta, cibo e bevande. In tale situazione i minori rappresentano un’importante fonte di reddito per le famiglie e un guadagno di soli 50 centesimi di dollaro è fondamentale per il sostentamento del nucleo famigliare. La strada è per questi bambini il luogo dove trascorrere la vita.
Il progetto ‘Anch’io so leggere e scrivere’ vuole migliorare l’inclusione sociale e contribuire a ridurre la povertà favorendo i bambini di età inferiore ai 14 anni, i più esposti al rischio di sfruttamento. Oltre all’inserimento scolastico delle piccole vittime e alla lotta contro la dispersione scolastica il progetto punta all’istruzione primaria e all’insegnamento delle basilari nozioni igienico-sanitarie oltre che al monitoraggio e alla prevenzione della violenza e del traffico dei minori. Ma le previsioni di costo sono notevolmente aumentate rispetto alle previsioni iniziali e servono altri finanziamenti per ampliare la struttura e proseguire negli anni a venire per far conoscere la forma più bieca di sfruttamento dei minori a fini commerciali e cercare un aiuto concreto per le vittime di questo ‘mercato.
"La vuoi una bambina di dieci anni? O preferisci il mio fratellino, che di anni ne ha otto?". Assieme alla marijuana e all'anfetamina, questo offrono i papponi agli occidentali che scendono negli alberghi da due soldi attorno al lago Bung Kak di Phnom Penh. Anche l'autista di tuk-tuk propone creature di cui abusare: "Conosco un bordello pieno di ragazzine. Costano care, però. Almeno venti dollari".
Che la Cambogia sia ancora un paradiso per pedofili lo dimostrano anche le statistiche: una bambina su quaranta viene venduta ai bordelli, alcune di queste hanno appena 5 anni. Almeno un terzo delle prostitute cambogiane è minorenne. "Eppure, qualcosa sta cambiando", dice Bruno Maltoni dell'Organizzazione mondiale per le migrazioni, direttore di un progetto finanziato dalla Cooperazione italiana contro il traffico di minori a scopo sessuale in Cambogia.
Negli ultimi anni, Maltoni ha addestrato la polizia cambogiana a riconoscere i segni di abuso, a interrogare vittime e carnefici, a compiere perquisizioni. "Il governo ha deciso di affrontare il problema - spiega Maltoni - ma c'è ancora molto da fare, soprattutto a livello giudiziario. Una volta arrestati, è difficile che i pedofili siano giudicati e condannati".
Anche la cronaca recente sembra avvalorare l'ipotesi che le autorità abbiamo finalmente cominciato a combattere il fenomeno. La settimana scorsa, in una pensioncina della capitale sono stati arrestati due tedeschi che stavano girando un video mentre stupravano un minore. Due giorni fa, sulla spiaggia di Sihanoukville, nel sud del paese, la polizia ha fermato un francese, anche lui colto in flagrante, che stava violentando un ragazzino di strada. E ieri, infine, in galera è finita una coppia di cambogiani che aveva venduto la verginità della loro bimba di undici anni.
Gli orchi sono spesso europei, australiani o statunitensi. Ma ci sono altri mostri, più insidiosi, perché si confondono tra i cambogiani, quindi più difficili da intercettare. Sono quei pedofili, numerosissimi, che arrivano da Taipei, Hong-Kong, Pechino. "Ci sono cinesi che festeggiano la firma d'un contratto comprandosi una vergine cambogiana, perché credono che deflorarla li ringiovanisca e perché temono che con una prostituta potrebbero beccarsi l'Hiv", spiega Seyla Semleamp dell'ong Aple (Action pour les enfants).
"Il problema è che spesso sono le famiglie stesse a fornire loro le bimbe". Bimbe che, quando tornano a casa dopo aver trascorso un paio di notti con il loro stupratore, sono prese a sassate dagli uomini del villaggio, perché considerate srey kouc, anime rotte.
"Perciò, dopo che una madre ha venduto la verginità di una bimba di 10 anni per 500 dollari, la piccola finisce in un bordello".
Secondo Rithy Pech dell'organizzazione Riverkids da quando le autorità hanno cominciato, sia pure blandamente, a reprimere la prostituzione infantile, i prosseneti hanno cambiato le regole del loro commercio. Se una volta le baby-prostitute le trovavi nei quartieri a luci rosse, negli alberghetti e nei bordelli, oggi bisogna andare nei centri di karaoke e nelle sale di massaggi. L'abominio è forse più occultato di una volta, ma non meno diffuso.
Fino a un paio d'anni fa, per esempio, al famigerato "Km 11", un miserabile borghetto a undici chilometri dal centro, per pochi dollari le madri offrivano i loro piccoli sul portone di casa. Oggi, continuano a farlo, ma più di nascosto. "C'è poi un altro sistema per aggirare i controlli", aggiunge Pech. "La mamasan (la ruffiana, ndr) dà al bimbo un cellulare con una ricarica di 10 dollari. E lei va in giro con l'album fotografico della sua scuderia di piccoli schiavi da mostrare al cliente. All'ultimo minuto, chiamerà il prescelto per dirgli dove recarsi".
Il centro che Pech dirige in uno slum della capitale offre assistenza sanitaria, educazione, ma anche un piatto di riso a bambini di strada, la maggior parte dei quali ha subito violenza sessuale. Sono circa trecento, inzeppati in stanzette senza finestre, ma finalmente sorridenti, perché al riparo dai soprusi. "Quelli che vede sono tutti potenziali schiavi sessuali", dice Pech. Quanti di loro lo sono già stati? "Almeno la metà".
Il direttore del centro ci fa conoscere Chenda, una timida tredicenne che è stata ripetutamente violentata dallo zio e che qui studia l'inglese. È difficile che le ragazze come Chenda raccontino il calvario che hanno subito. "Improvvisamente, magari dopo sei mesi che sono da noi, parlano e si liberano del peso che le opprime", spiega Pech.
Come Maltoni e Pech, anche la parigina Françoise Bricout dell'ong La Goutte d'Eau appartiene a quella falange di operatori umanitari che portano sollievo alle piccole vittime del vizio. A Neak Leung, un paesino sulle sponde del Mekong, Françoise coordina un centro con circa duecentottanta bimbi, molti dei quali strappati dai bordelli dove lavoravano da anni, e che adesso cercano di trovare una ragione per continuare a vivere.
Prima di approdarvi, nessuno di loro era mai stato a scuola. Qui viene loro insegnato un mestiere (di meccanico, sarta, barbiere o falegname), per far sì che un giorno sia possibile reintegrarli nella società. Uno di loro si stringe stretto stretto a Françoise, quasi volesse proteggerla. È Sovannarith Sam, un sedicenne handicappato mentale, che fu ritrovato tra le immondizie di Battambang, nel nord del paese, quando di anni ne aveva 10. "Era stato stuprato, più volte. Lo si evinceva dal comportamento ossessivo che aveva con i suoi coetanei", dice Françoise.
"Di solito, i bambini non denunciano i loro padri dai quali sono stati violentati perché sanno che la polizia li arresterebbe e che la famiglia andrebbe in rovina e non avrebbe più di che mangiare". La nuova maledizione del porto di Sihanoukville è la yahma, così viene chiamata una micidiale metanfetamina fabbricata in Thailandia, di cui ne fa uso l'80 per cento delle lolite cambogiane. La vecchia, ma sempre attuale maledizione del luogo sono i pedofili occidentali, che qui guardano le loro prede sulla spiaggia.
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